E
ORIGINI: Anticamente il territorio della Tuscia era chiamato
Etruria, detta in latino Hetruria o
Aetruria dai suoi abitanti, detti Etruschi o Etrurii. Questa
terra comprendeva vaste aree della Toscana, del Lazio e dell'Umbria, e fu definitivamente annesso
allo Stato Romano nell'89 a.C; dal secondo secolo d.C. i Romani iniziarono ad utilizzare anche il nome Tusci e Tuscia il
loro territorio.
Nel riordinamento politico ed amministrativo ordinato dal primo imperatore,
Ottaviano Augusto, quella che era stata terra etrusca, alto Lazio e Toscana, fu
compresa nella VII Regio. In seguito alla riforma dell'imperatore Domiziano
(81-96 d.C.) l'Umbria e l'Etruria furono unite in un'unica provincia governata,
come le altre cinque dell'Italia centrale e meridionale, da un vicarius urbis;
detta provincia era amministrata da un alto magistrato che aveva la sua sede in
Firenze, chiamato fino al 366 corrector e dal 370 consularis. Dal 367 viene
operata una divisione in Tuscia annonaria (a nord dell'Arno) e Tuscia
suburbicaria (a sud dell'Arno). Dal V secolo la Tuscia annonaria fu annessa
all'Emilia. Umbria ed Etruria rimasero unite fino al '400. Tuscia è la
denominazione ufficiale dell'Etruria stabilita nel riordinamento amministrativo
dell'Italia antica operato dall'imperatore Diocleziano (284-305), ma già da
tempo era un nome diffuso nell'uso corrente. Dai documenti medioevali
notiamo la differenza tra:
• Tuscia romana: corrispondente al Lazio settentrionale,
includente la provincia di Viterbo, il patrimonio di San Pietro, Civitavecchia ed il suo territorio; • Tuscia
ducale: includente tutti i territori laziali sottoposti al potere dei Duchi di
Spoleto; • Tuscia regale o longobarda: l'attuale Toscana, compresa nei
territori sottomessi ai Longobardi. Delle varie "Tuscia" oggi è la provincia di
Viterbo ad ereditare questo nome importante: la ricchezza delle antiche
vestigia, testimoni di un passato storico di rilievo, riporta il turista indietro nel tempo,
centinaia di anni prima del
nostro, in un'appassionante riscoperta di rocche medievali, rovine romane,
necropoli e città etrusche.
Ma facciamo un passo indietro al periodo romano, importante in quanto
anch'esso plasmò alcuni aspetti di questo territorio che ancor oggi sono
visibili. Infatti, l'abbondanza di sorgenti termali, la presenza di dolci
colline, laghi e mare che aprono panorami unici e la vicinanza con
l'Urbe resero la provincia di Viterbo uno dei luoghi di vacanza preferiti
dai romani, data anche la facilità di accesso attraverso la via consolare
Cassia. Tutto questo è stato dimostrato anche dalla presenza di numerose rovine
di ville risalenti all'epoca romana sparse su tutto il territorio della Tuscia. Questa prima forma di turismo ha portato al fiorire di numerosi siti che
ancora oggi mostrano tutta la loro importanza storica: Tuscania, Ferento,
Bolsena, Faleria, Civita Castellana e Viterbo.
L
MEDIOEVO E LA DOMINAZIONE PAPALE: Con
la caduta dell'Impero di Roma, cessò anche l'organizzazione amministrativa,
politica-militare e commerciale, del suo immenso territorio che fu
attraversato da bande e soldatesche incontrollate di popolazioni barbariche;
tra di esse sono i Longobardi a tenere più a lungo il controllo della Tuscia.
In seguito alla donazione da parte del loro re Liutprando di vasti territori
al Papato (detta donazione di Sutri), si creano le premesse per la nascita del
primo nucleo del futuro Stato della Chiesa e l'inizio del potere temporale dei
papi nella Tuscia.
Viterbo diverrà capitale del Patrimonio di San Pietro nel 1207 e presto la
sede verrà posta nel Palazzo dei Papi: assieme a Roma ed Avignone dunque,
anche il capoluogo della Tuscia può vantare il titolo di Città dei
Papi. L
REGNO D'ITALIA E IL PRIMO NOVECENTO: La
Tuscia, patrimonio dello Stato Pontificio e la sua capitale Viterbo, rimasero dominio
del papato fino all'annessione nel Regno d'Italia avvenuta nel 1870.
Al nuovo Regno veniva annessa una terra che era andata via via spopolandosi
per le continue migrazioni di genti verso Roma, e dove le zone incolte e
malsane si erano sempre più estese. Inoltre, ripetute invasioni ed una
gestione inefficente da parte dell'amministrazione papale, avevano lasciato
profondi segni, tra cui la diffusione del fenomeno del brigantaggio.
La situazione perdurò fino al primo dopoguerra (1919-20) quando, con
l'avvento della dittatura fascista e la successiva politica agraria,
soprattutto la fascia costiera della provincia trasse i maggiori benefici: si
diede infatti un notevole impulso all'agricoltura ed il successivo
ripopolamento delle campagne.
Gli antichi manieri con il sottostante borgo acquisirono nuova vita, divenendo
fiorenti cittadine, orgogliose del fascino e dei resti di un passato glorioso. A
SECONDA GUERRA MONDIALE: Sebbene
Viterbo fosse stata velocemente superata dalla linea del fronte, più di
qualsiasi altra città a sud della Linea Gotica subì danni gravissimi a causa
dei quasi 800 bombardamenti aerei che la colpirono fra l'estate del '43 e il
giugno del '44. Il suo volto antico, frutto della millenaria sequenza di
stili, e la struttura urbanistica, organica e straordinariamente integra, ne
uscirono sconvolti.
Le perdite umane e le distruzioni le valsero nel '59, il giusto riconoscimento
di "città mutilata dalla guerra". La sequenza ininterrotta e
violenta di attacchi mirava al grande aeroporto occupato dai tedeschi, al
nevralgico nodo stradale sulla Cassia con le diramazioni verso il mare e alle
stazioni ferroviarie. Furono però colpiti inestimabili tesori d'arte e di
storia come le chiese di S. Francesco, S. Sisto, e della Verità,
il quartiere di Piano Scarano, Porta Fiorentina, Porta Romana
e non fu risparmiata nessuna zona della città.
Quando, la guerra finì e si poté tracciare il triste bilancio, 600 case
erano state distrutte dai bombardamenti, 300 gravemente danneggiate, 1500
colpite più lievemente. E pesante fu il bilancio dei morti 1.071 in provincia
di cui ben 245 in città.
Nelle incursioni aeree alleate che misero Viterbo in ginocchio, si possono
distinguere, a grandi linee, tre fasi: estate '43, gennaio-febbraio 44',
maggio-giugno '44. Proprio il 29 luglio '43, alle 14,00 circa risuonò nel cielo
della città il fragore delle prime bombe cadute sull'aeroporto e, poco dopo,
il suono delle sirene che avrebbe teoricamente dovuto avvertire in anticipo
del pericolo.
Un'enorme nuvola di fumo si levava dai depositi di carburante, oscurando il
cielo. Viterbo entrava così nel vivo della
guerra senza essere predisposta a subire attacchi che
andarono crescendo di intensità. Il
primo bombardamento sull'abitato fu nella notte del ferragosto del 1943 quando
alcune bombe, malgrado la fortissima reazione contraerea della divisione
tedesca Erman Goering, di passaggio per Viterbo, colpirono la zona tra Piazza
Fontana Grande e S. Leonardo arrecando modesti
danni.
Ma un giorno rimane drammaticamente scritto nella storia di Viterbo, il 17
gennaio '44. Alle 13,15, ora di massimo affollamento nella zona tra le
stazioni di Porta Fiorentina e Porta Romana,
una violenta incursione miete numerose vittime tra i cittadini e i pendolari
che non hanno via di scampo.
A questa incursione seguirono 5 mesi di calvario in cui la città e la
provincia furono martellate da bombardamenti e mitragliamenti; il transito
lungo le strade, spesso funestato da morti, costituiva un costante pericolo.
Si univa all'orrore della guerra la difficoltà di approvvigionamento e quindi
il continuo assottigliarsi delle razioni distribuite con le tessere annonarie.
In questo stato di precarietà, aggravato dal problema dei senza casa e degli
sfollati, ci si avvia all'ultima fase dei bombardamenti. Dopo la mezzanotte
del 25 maggio '44, circa 70 bimotori "Wellington", attaccarono la
città. Per la prima volta in Italia gli inglesi usarono bombe da due
tonnellate: fu un'ora di incubo per i viterbesi rifugiati nei sotterranei mal
protetti o addossati ai muri maestri delle loro case, con l'orecchio teso a
carpire il sibilo delle bombe. In questa e nelle incursioni incessanti dei
giorni seguenti vaste aree della città furono ridotte in macerie.
Particolarmente colpita la zona compresa tra Piazza Fontana Grande,
Porta Romana e Porta della Verità. Proprio in quei
giorni furono sbriciolati antichissimi monumenti come il complesso monumentale
di S. Maria in Gradi, la Cattedrale e i magnifici palazzi gentilizi che
avevano sfidato i secoli.
Gravi furono le perdite umane cui seguì l'esodo in massa che lasciò Viterbo
muta e deserta. Fino al 7 giugno sulla città volteggiarono aerei che
mitragliavano le colonne in ritirata. Non si sapeva se i tedeschi avrebbero
resistito in città o ripiegato a nord. Poi, all'alba del 9 giugno giunsero le
prime pattuglie americane. Nella notte i tedeschi si erano ritirati.
La provincia di Viterbo, se si escludono alcuni scontri nei dintorni di Monte
Romano e Bagnoregio, non fu quindi teatro di
rilevanti battaglie. I bombardieri costrinsero infatti i tedeschi ad
abbandonare il primitivo piano di attestarsi sulla linea
Civitavecchia-Viterbo-Terni, sfruttando a mo' di baluardo i rilievi dei Monti
della Tolfa e dei Cimini. Tuttavia sia le truppe tedesche sia poi gli alleati
scelsero la piana intorno a Bolsena come sede per gli alti
comandi e lo stazionamento delle truppe a riposo.
La presenza a Bolsena del quartiere generale del comandante del Corpo di
Spedizione Alleato in Italia, Maresciallo Alexander, condusse nella Tuscia fra
il giugno e il luglio del '44 illustri personaggi come il Maresciallo Tito,
Sir Winston Churcill, il ministro sovietico Bogomoloff ed il Re d'Inghilterra
Giorgio VI, padre di Elisabetta II. Questi, rispettando i canoni del
"turismo bellico" caro agli inglesi, apprezzò moltissimo Bolsena e
Viterbo, visitando qui la Chiesa del Gesù dove nel 1272 era stato
proditoriamente assassinato Enrico di Cornovaglia, suo
antenato.
Con l'arrivo delle truppe americane i viterbesi cominciarono a tornare.
Ciascuno cercava, dove era stata la sua casa, se fosse rimasto qualche
frammento della vita passata e tutti furono subito intenti a sgomberare le
macerie, ad abbattere i muri pericolanti e poi a ricostruire mattone per
mattone, pazientemente, la casa perduta. L'unica ferrovia funzionante è la
Roma Nord, grandi sono le difficoltà di comunicazione per lo stato delle
strade e la mancanza di macchine. Ne consegue un approvvigionamento scarso e
incostante, anche se l'economia prevalentemente agricola del viterbese,
consentiva alla popolazione condizioni di vita migliori di quelle offerte
dalle città più grandi.
In tutti rifiorisce la speranza, la voglia di risorgere e di vivere. Si
comincia ad ipotizzare un quadro di ricostruzione della città, che solo in
parte andò a buon fine.
©
www.isa.it |