Riserva
naturale del Lago di Vico
|
Percorrendo la Via Cassia, a non molta distanza da Viterbo, si
scorge un gruppo di rilievi i cui profili conici ci richiamano
subito in mente l'immagine degli antichi vulcani che nel corso del
Pleistocene squassarono con le loro immani emissioni di tufi, lave
ed ignimbriti la quasi totalità del Lazio settentrionale. Nella
zona dei monti Cimini si sovrappongono, in realtà, i prodotti i due
centri eruttivi ben distinti e separati da un notevole lasso di
tempo. Il primo, più antico è quello del Monte Cimino che si eleva
per 1053 metri con la tipica forma a cono stretto e rialzato o a
cupola dei vulcani più antichi del Lazio, che emettevano lave acide
e poco fluide come quelle del vicino rilievo Tolfetano Cerite.
Questo vulcano si generò attorno ad 1.300.000 anni fa, mentre il
Vulcano Vicano, in parte tutelato dalla riserva naturale, è più
recente, essendosi sviluppato tra 800.000 e 100.000 anni fa, circa.
Ben diversa la composizione chimica delle emissioni di quest'ultimo
apparato caratterizzato da rocce più "basiche", povere
cioè di selce e ricche di leucitite, un minerale a base di
potassio. La vita di questo antico vulcano è stata caratterizzata
da fasi in cui predominavano emissioni di colate laviche, assai
fluide, che si espandevano per chilometri dal loro centro di
emissione, dando luogo a versanti a dolce pendenza e da periodi con
attività esplosiva. Nel corso di questi ultimi si verificarono
imponenti emissioni di pomici, ceneri, lapilli e "nubi
ardenti" che hanno dato origine ai banconi tufacei, quasi
pianeggianti, estesi per centinaia di chilometri quadrati. Le
ripetute eruzioni svuotarono con il tempo la camera magmatica
sottostante il vulcano e portarono al crollo della sua base, con
formazione della vasta "caldera" che in seguito venne
colmata dalle acque, originando il lago di Vico (La leggenda, a
proposito della nascita del lago di Vico, narra di Ercole che sfidato ad una prova di forza
scagliò in terra un grande tronco aprendo una crepa dalla quale
iniziò a sgorgare l'acqua che riempì la valle formando il Lago di
Vico). Un'immensa
esplosione finale, di tipo "freatico", cioè causata dal
vaporizzare delle acque di infiltrazione a contatto con le residue
lave del sottosuolo, rovesciò enormi quantità di pomici, ceneri e
lapilli oltre l'orlo della Caldera, in direzione della Valle del
Tevere. Il piccolo rilievo del Monte Venere, interno alla caldera,
è il risultato di una emissione tardiva. Il bacino attuale di Vico,
più piccolo di quello antico a causa della realizzazione di un
canale "di sfioro" delle acque riaperto nel XVI secolo, ha
una superficie di circa 1200 ettari ed una profondità media di 22
metri (la massima è di 45 m). La cerchia di rilievi che racchiude
il bacino su tre lati ha le sue cime più alte nel Monte Fogliano di
965 m e nel Poggio Nibbio di 896 m. La ricchezza in minerali del
suolo e la forte umidità atmosferica hanno consentito lo sviluppo
di una lussureggiante copertura vegetale che formava sino all'epoca
romana l'impenetrabile e "orrenda" Sylva Cimina. La selva
era così impenetrabile che quando il
console romano Fabio Rulliano vi si addentrò, venne richiamato dal Senato a
rientrare per il terrore che imprimeva questa selva mai attraversata
prima. Ma il console non poté resistere e la attraversò segnando
un percorso che venne seguito dalla Via Cassia antica.
Nel XVI sec., i Farnese abbassarono
il livello delle acque attraverso un tunnel sotterraneo, già
scavato dagli Etruschi, per aumentare il pascolo e il terreno
coltivabile, ed è la vasta estensione, ricoperta ormai
prevalentemente da noccioleti, che si ammira dai crinali. È da qui
che si può coprire con la vista l'intera vallata, estesa per oltre
3000 ettari e protetta da un anello montuoso ricoperto da una
rigogliosa vegetazione. Nel mezzo si erge Monte Venere, 865 metri s.l.m.,
l'ultimo vulcano spentosi circa 70.000 anni fa. Le vaste estensioni
di faggi secolari, che superano i 35 metri d'altezza, si alternano a
quelle di cerro, non meno maestosi, con esemplari d'alto fusto a
portamento colonnare, altri esempi sono l'orniello, il carpino, il
nocciolo selvatico, il rovere, molto diffuso il castagno, l'agrifoglio.
Tra le specie presenti nel sottobosco la scilla bifoglie, l'olivella,
gli anemoni, la linaria purpurea, il ciclamino ed il narciso.
Altrove la vegetazione originaria è stata sostituita da culture con
noccioleti e con castagneti. In particolare circa 1000 ettari sono occupati
da coltivazione di noccioleti e da secolari boschi di castagno che
rappresentano la risorsa economica primaria della zona. La Riserva comprende
un ambiente paesistico fra i più belli d'Italia. Ricchissimo il
patrimonio faunistico di questa area protetta.
L'ittiofauna, favorita dalla buona qualità delle acque, comprende
il luccio, il persico reale, il coregone, la tinca. Numerosi gli
anfibi come la rana verde, la raganella, il rospo comune e quello
smeraldino; tra i rettili la natrice dal collare, la biscia d'acqua,
la testuggine comune ed il colubro di Esculapio. Tra i mammiferi,
scomparsa da non molti anni la lontra, sono presenti la nutria, la
volpe, il tasso, l'istrice, il cinghiale, la martora, la puzzola e
forse il gatto selvatico. Il punto di maggiore interesse e di
richiamo per i visitatori è costituito dall'avifauna, assai varia
data la presenza di ambienti diversi come il bosco, la palude, i
prati umidi, i coltivi e lo specchio d'acqua. Sulle sponde o sul
pelo dell'acqua sono osservabili molti uccelli acquatici, dalle
folaghe (ne sono state censite circa 5000), agli anatidi come il
moriglione, la moretta, il germano, il fischione, l'alzavola,
presenti spesso a centinaia. Tra le altre specie lo svasso
maggiore, simbolo della riserva, gli aironi, la garzetta, il
tarabusino, il porciglione, la sgarza ciuffetto, lo svasso piccolo,
la pavoncella, la beccaccia e gli storni che a migliaia passano le
notti invernali sui salici della ripa. l rapaci annoverano il
lanario, il nibbio bruno, lo sparviero, la poiana, il falco di
palude, il falco pellegrino. Nei boschi vivono rapaci notturni come
l'assiolo, il barbagianni, l'allocco, oltre al picchio verde, ai
picchi rosso maggiore e minore e al ciuffolotto. Consigliamo per il notevole
interesse di visitare il sentiero lungo la palude, rifugio per migliaia di uccelli migratori e
stanziali, prevalentemente acquatici quali aironi, anatre e limicoli,
e se d'estate il caldo si fa opprimente potete intraprendere
un'escursione sulle faggete depresse di Monte Venere, di Monte Fogliano e del Monte Cimino
meta di turisti alla ricerca del fresco.
All'interno della Riserva esiste un anello stradale, lungo il quale
si trovano aree di parcheggio, sentieri segnalati e aree pic-nic.
Campeggio, centro ippico, passeggiate a piedi o in bicicletta,
uscite sul lago in canoa, tutto questo offre la Riserva del lago di
Vico.
|
|
|
|
Centro
visite: Caprarola - ex-scuderie Farnese
| Per
Informazioni: tel. 0761.64.74.44
|
|